marzo 17, 2010

DANTE (Terza lezione, audio 21)

CONVIVIO:
Le ragioni che nel primo trattato del Convivio, nel libro proemiale, Dante adduce a giustificare l'uso di una lingua meno nobile, meno bella, meno virtuosa (come dice Dante stesso), che è la lingua naturale anziché usare la lingua più nobile: "lo volgare seguita uso, e lo latino arte". C'è una difformità, una disparità: il latino è lingua perfetta, lingua più nobile; il volgare no. In questo primo libro fondamentale del Covivio, Dante, dopo aver posto così il problema, in realtà sostiene con un vigore, con una potenza argomentativa e logica le ragioni che lo hanno indotto a scegliere comunque, per un trattato a commento di canzoni dottrinali e filosofiche, la sua lingua naturale. La prima ragione addotta da Dante è di una coerenza interna: non si può usare una lingua più nobile per commentare delle canzoni che sono scritte in volgare e quindi deve esserci, evidentemente, una equivalenza delle canzoni che sono in lingua in volgare analogamente il commento DEVE essere in lingua volgare. Oltre al fatto che affrontando questo problema Dante ha una straordinaria intuizione o comunque fa un'affermazione anche dal punto di vista teorico molto importante in quanto sostiene che la poesia è INTRADUCIBILE; la seconda ragione, che è il presupposto di questa opera dantesca, è il desiderio di giovare ai più, di allargare, di ampliare la cerchia delle persone a contatto con la cultura, dal momento che, appunto, non soltanto le donne, come diceva nella Vita Nuova ignorano il latino, ma anche gli animi nobili, baroni, cavalieri (come dice nel Convivio), la necessità, la sua volontà, la sua fede insomma in questo allargamento del pubblico, ecco, questo fa sì che la sostenga e difenda la sua scelta della lingua naturale. Con una argomentazione ascendente, una CLIMAX, cioè dal grado medio, neutro, al grado più alto come terza compare la ragione più forte, anche emotivamente più cogente, che è il naturale amore per la propria locuela. In questa spiegazione, in questa giustificazione nel descrivere, nell'esporre le ragioni di questo suo amore per la sua naturale locuela Dante usa degli accenti veramente fervidi, come dirà della sua operetta Vita Nuova, davvero appassionati, un'oratoria, una eloquenza vibrante che proprio nella chiusura del primo trattato, capitolo 13 assume questa tonalità, questa valenza profetica. Dalla chiusa di questo primo trattato del Convivio, laddove spiega il fatto che la sua lingua naturale gli ha concesso degli enormi benefici: "Dico, prima, ch'io per me ho da lei ricevuto dono di grandissimi benefici"; "Questo mio volgare fu congiugnitore de li miei generanti (dei miei genitori), che con esso parlavano, sì come 'l fuoco è disponitore del ferro al fabbro che fa lo coltello; per che manifesto (per la quale ragione è chiaro) è lui essere concorso a la mia generazione (sono nato grazie al fatto che i miei genitori comunicassero in questa lingua), e così essere alcuna cagione del mio essere" (il fatto che io sia nato, sia vivo, in parte, dipende dall'uso di questa lingua naturale); "Ancora, questo mio volgare fu introduttore di me ne la via di scienza, che è ultima perfezione (il sapere per Dante è l'ultima perfezione, in quanto con esso io entrai ne lo latino e con esso mi fu mostrato (è grazie alla lingua volgare che egli ha studiato e, così facendo, ha potuto conoscere e imparare il latino): lo quale latino poi mi fu via a più innanzi andare. E così è palese, e per me conosciuto, esso essere stato a me grandissimo benefattore (tra l'altro sono delle immagini di un dono, quasi gratuito; seconda ragione è l'amore perchè i suoi genitori l'hanno generato comunicando in questa lingua e questa lingua l'ha avviato al sapere, alla scienza, alla dottrina). "Anche c'è stata la benivolenza de la consuetudine, chè dal principio de la mia vita ho avuta con esso benivolenza e conversazione, e usato quello diliberando, interpetrando e questionando. 9. Per che, se l'amistà s'accresce per la consuetudine, sì come sensibilmente appare, manifesto è che essa in me massimamente è cresciuta, che sono con esso volgare tutto mio tempo usato (questa idea della coltivazione di una lingua la faccia anche crescere, non soltanto faccia crescere l'individuo, ma, come è il caso di Dante evidentemente, giovi, faccia crescere lo stesso strumento usato). "E così si vede essere a questa amistà concorse tutte le cagioni generative e accrescitive de l'amistade: per che si conchiude che non solamente amore, ma perfettissimo amore sia quello ch'io a lui debbo avere e ho (Notare questa scrittura dantesca sempre così apodittica, sempre così recisamente affermativa, questo suo scrivere in forma potentemente asseverativa. Qui la chiusa del periodo con l'uso di superlativi; non solo amore, ma PERFETTISSIMO amore). 11. Così rivolgendo li occhi a dietro, e raccogliendo le ragioni prenotate, puotesi vedere questo pane (in questo primo trattato è dispiegato questa sfera metaforica del pane, il pane della scienza ovvero degli angeli), col quale si deono mangiare le infrascritte canzoni, essere sufficientemente purgato da le macule (pane che accompagna la vivanda, cioé le canzoni, questo pane che lui deve giustificare di essere proprio macchiato e quindi deve essere pulito dalle macchie) e da l'essere di biado; per che tempo è d'intendere a ministrare (servire, mostrare, esporre) le vivande. 12. Questo sarà quello pane orzato del quale si satolleranno migliaia, e a me ne soperchieranno le sporte piene. (dietro questa metafora c'è un'allusione evangelica palese, esattamente la moltiplicazione dei pani e dei pesci che tra l'altro è narrata nel Vangelo di Giovanni). Questo sarà luce nuova, sole nuovo, lo quale surgerà là dove l'usato tramonterà, e darà lume a coloro che sono in tenebre e in oscuritade per lo usato sole che a loro non luce. (Questa frase profetica, il sole nuovo, la luce nuova, la lingua volgare coltivata, alimentata, dall'amore dei dotti che sorgerà, dice Dante, laddove la scienza vecchia, l'uso esclusivo, ristretto, del latino tramonterà per dar lume, notare l'immagine potente della luce, del sole, a coloro che sono in tenebre e in oscuritate, che non possono attingere al latino, che a loro non può dare luce). Termina qui il primo libro che è tutto dedicato a questa disanima, a questa questione, dove Dante in modo così fermo, molto più convincente, molto più approfondito rispetto a quelle poche notazioni, peraltro già chiarissime, che aveva usato nella Vita Nuova, propone a difesa e a sostegno della lingua volgare. Il Convivio è un'opera incompiuta, scritta durante il periodo dell'esilio, e proprio questo tema, il titolo e da che cosa ricaviamo il fatto che Dante in realtà progettasse un'opera molto più ampia, è perché evidentemente lo dice Dante stesso, in uno dei primi capitoli di questo trattato, dove, dopo aver scritto il proemio e rivolgendosi a coloro che sono assetati di sapere, di scienza, ed è qui che usa proprio l'espressione "pane degli angeli", lo usa anche nell'esordio del paradiso: "Oh beati quelli pochi che seggiono a quella mensa dove lo pane de li angeli si manuca"; pane degli angeli è usato anche in quell'altissimo esordio all'ultima cantica, al Paradiso (II), la invocazione e anche l'ammonimento ai lettori, mettendoli in guardia della ardua materia, impresa che si accingono in un certo senso a fare dopo l'autore: " O voi che siete in piccioletta barca,
desiderosi d'ascoltar, seguiti
dietro al mio legno che cantando varca,
tornate a riveder li vostri liti:
non vi mettete in pelago, ché forse,
perdendo me, rimarreste smarriti
L'acqua ch'io prendo già mai non si corse;
Minerva spira, e conducemi Appollo,
e nove Muse mi dimostran l'Orse"
Questa immagine della navigazione sarà ricorrente nella Commedia, il rovescio di questa immagine è il canto XXVI dell'Inferno. Dunque arrivato alla ultima tappa di questo suo viaggio, Dante in questa sua ultima invocazione, appello, al lettore, oltre a metterlo in guardia perché la materia che lui sta per affrontare è materia che nessuno ha mai trattato: così vigorosa è la rivendicazione della novità assoluta della sua opera "l'acqua ch'io prendo già mai non si corse", nessuno prima di lui ha potuto tanto, e quindi ammonisce i lettori a ritornare indietro "perdenome, rimarreste smarriti"; agli altri lettori, gli spiriti non alti, non nobili, li invita a non seguirli:
"Voialtri pochi che drizzaste il collo
per tempo al pan de li angeli, del quale
vivesi qui ma non sen vien satollo": questa immagine del pane degli angeli, di questo desiderio di sapere, di scienza, con il quale si vive qua in terra, ma non può mai essere completamente saziato;
"metter potete ben per l'alto sale
vostro navigio, servando mio solco
dinanzi a l'acqua che ritorna equale":

(Sono solo APPUNTI, sbobinando dei file audio delle lezioni: mi scuso in anticipo per errori o per parti prive di significato)

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