maggio 21, 2013

Museo Egizio di Torino (aggiornamento 21/05/'13)

PRIMA SALA: 

- I vasi canopi

Questi quattro vasi un tempo conservavano gli organi interni di Wah-ib-ra. Rimossi durante la mummificazione, gli organi venivano di solito collocati in vasi detti canopi che avevano come coperchio la testa della divinità protettrici pertinente, uno dei Quattro Figli di Horus. L’iconografia di queste divinità si era sviluppata nel Nuovo Regno. Amset rappresentato come un uomo che protegge il fegato e dal punto di vista spirituale l’essenza ka del defunto (e rivendicava la protezione di Iside). Hapi il babbuino salvaguardava i polmoni (era sotto l’influenza di Nefthi). Duamutef lo sciacallo proteggeva lo stomaco, e spiritualmente lo spirtito ba (ed era sotto la protezione della dea Neith). Kebehsenef il falcone proteggeva gli intestini e spiritualmente l’aspetto sa del defunto (era sotto la protezione della dea Selket, lo scorpione). Le iscrizioni su questi vasi invocano inoltre le dee Iside e Nefthi (sorelle), Nut e Selket, le quattro divinità protettrici dei morti, che sono spesso rappresentate sugli angoli dei sarcofagi e delle edicole funerarie. A volte, nella XXI dinastia, le pratiche funerarie variavano e gli organi interni venivano ricollocati nelle cavità essiccate del defunto. Tuttavia, la tradizione di inserire i vasi canopi nella tomba era così radicata che essi continuarono a essere fabbricati e a volte non erano vasi cavi, ma sagome di personaggi.

-Il libro dei Morti di Iuefankh


Periodo tolemaico (332-30 a.C.)
Il libro dei Morti di Iuefankh


Papiro
Periodo tolemaico (332-30 a.C.)
Provenienza: Tebe, in seguito Collezione Drovetti, 1824
N. Inv. C. 1791
In questa scena del Libro dei Morti di Iuefankh assistiamo al momento cruciale, ovvero il giudizio del defunto, la cosiddetta psichostasia o pesatura dell’anima. Il cuore del defunto, considerato la sede dell’intelligenza (che non era il cervello) si trova sul piatto di una bilancia in equilibrio di fronte a una piccola figura della dea Maat che porta sul capo la piuma di struzzo. La dea personifica l’idea dell’ordine cosmico, della giustizia e dell’armonia. Insieme a Thoth, Maat era garante della precisione. Thoth, che si manifestava in due sembianze, come babbuino e come ibis, era il dio della sapienza e della scrittura, che conosceva il calcolo. Veniva rappresentato sia come ibis che come babbuino. In quanto cuore (intelligenza) di Ra, eseguiva li calcoli delle fasi lunari. Maestro di esattezza, era il patrono degli scribi. Per la sua abilità nel calcolo ne era richiesta la presenza alla pesatura dell’anima. Thoth appare in questa scena seduto in cima alla bilancia con le sembianze di babbuino, e come un dio dalla testa di ibis che registra il risultato con la tavoletta e la penna a inchiostro davanti a una cappella del dio Osiride. Gli dei Horus e Anubis presiedono alla bilancia. Un animale ibrido Anmut) sopra un piccolo altare è in attesa del giudizio di Osiride. Se il defunto dovesse essere condannato, questo animale dal corpo di ippopotamo e testa di coccodrillo gli divorerebbe il cuore, impedendogli così di rinascere.
- Gli amuleti:
Lo scarabeo era estremamente diffuso nell'iconografia egizia e venerato in quanto simbolo di rinascita e di autogenesi. Lo scarabeo sacro deponeva le sue uova in palle di sterco che faceva rotolare dalle zampe anteriori. La schiusa delle uova all'interno della pallina di sterco, spinse gli egizi a considerare questo fenomeno come una rinascita poiché il nuovo scarabeo emergeva dalla terra. Gli scarabei erano molto popolari, sia come sigilli che come amuleti. Grossi scarabei, con la base piatta su cui era inciso il capitolo 30 del Libro dei Morti, oggi sono noti come "Scarabei del cuore" perché venivano collocati sul cuore della mummia. Il testo iscritto invoca il cuore, sede dell'intelligenza, affinché non ostacoli il defunto nel giorno del giudizio. Oltre lo scarabeo, l'amuleto più comune era l'occhio, "Ugiat", un occhio umano con i tratti di un occhio di falco e aveva una funzione apotropaica: si credeva infatti che tenesse lontano l'occhio del maligno. Tra gli altri simboli protettivi erano inclusi: il simbolo "Ankh", una sorta di nodo scorsoio verticale che simboleggiava la vita; il simbolo "Tiet" un altro nodo protettivo; il papiro che simboleggiava la fioritura e la crescita; corone reali o divine, incluso il peso "Menat" a forma di chiave forata; parti del corpo come il cuore per la sede dell'intelligenza e il poggiatesta.
Sappiamo che il nero è il colore del limo che rendeva fertile Khemet, la Terra Nera. Gli egizi lo associavano alla morte, ma anche alla rinascita. Il rosso è il colore del sangue: era simbolo di forza, aggressività, collera, terrore. Il verde è il colore della vegetazione: simboleggiava il fiorire o la vita nascente. Il blu e l'azzurro erano i colori del cielo, sede degli dei, e ne erano il simbolo: ne derivavano i concetti di serenità, pace e tranquillità. Il bianco era segno di purezza, santità e gioia. Il giallo, colore del sole e dell'oro, rappresentava l'immarcescibile carne degli dei e tutto ciò che è prezioso e perfetto

- Ushabti

Nell'antico Egitto, tutti erano tenuti a lavorare la terra e la morte non esonerava da questi doveri. Di conseguenza a partire dal medio regno i corredi funerari vennero integrati dagli ushabti, statuine che avrebbero risposto alla chiamata al lavoro al posto del defunto. Questi ushabti mummiformi erano muniti di zappa e cesti per le sementi appesi ad un bastone portato sulle spalle. Nel tardo/nuovo regno, intorno al 1100 a.C., il numero ideale di ushabti era di 365 esemplari, uno per ogni giorno dell'anno egizio. Si raggiungevano i 401 esemplari con le figure dei sorveglianti che rappresentati con indosso gli abiti dei vivi e muniti di fruste e bastoni si assicuravano che gli altri ushabti portassero a termine i loro doveri. Di solito, nelle tombe, gli ushabti venivano accuratamente sistemati in cofanetti decorati di legno o in terracotta o in urne.

- Tre sorelle
Queste sono tre mummie di giovani donne che vissero durante la 25° dinastia, nel VII secolo a.C.. Le iscrizioni geroglifiche sui sarcofagi ci informano che erano tre sorelle. Si chiamavano rispettivamente: Tapeni che significa "Topolina", Tama cioè "Gatta" e Neferrenepet, "Buonanno" .
 Il padre era sacerdote-capo degli artigiani del tempio di Amon. Tutte e tre le sorelle avevano un sarcofago antropoide, ossia di forma umana. A due di esse rimane anche quello con coperchio esterno a forma di botte. Da notare le scene dipinte in corrispondenza dei piedi: il toro Apis trasporta la mummia verso la tomba e dei babbuini adorano il sole. Queste tre mummie sono state sottoposte ad una TAC, che ha evidenziato che tutte e tre le giovani donne morirono a pochi giorni di distanza l'una dall'altra, probabilmente a causa di un virus o di un avvelenamento da cibo.

- Due mummie 

Le due mummie maschili esposte in questa vetrina sono state trattate con due diversi metodi: il corpo sul ripiano superiore è stato imbalsamato in modo canonico, mediante l'estrazione degli organi interni attraverso un'incisione nella zona addominale e del cervello attraverso le narici; successivamente il corpo veniva più volte lavato e riempito di sale minerale, il natlon, per favorire la disidratazione. Gli organi estratti e le viscere erano trattati separatamente e inseriti nei vasi canopi, ma talvolta potevano essere ricollocate nel corpo e le incisioni venivano opportunamente cucite o coperte di cera. La mummia veniva poi avvolta in bende di lino spesso di centinaia di metri e alcuni strati erano fissati versandogli sopra cera fusa. Questo viso mostra ancora tracce di pece e di tessuto dipinto che ricopriva le cavità orbitali. Mancano le punte delle dita probabilmente perché erano ricoperte con ditali in lamina d'oro e vennero pertanto rimossi dai ladri. Il corpo al ripiano inferiore non è stato interamente imbalsamato; gli organi interni non sono stati estratti, ma sciolti da soda caustica, introdotta all'interno del corpo attraverso il retto. In seguito il corpo fu ricoperto di pece per evitarne il deterioramento.

- Mummia di bambino

Molti greci, in Egitto da generazioni, scelsero di farsi imbalsamare. La decorazione delle loro mummie era solitamente in stile egizio, così come egizi erano gli dei e gli amuleti. Il bambino Petaminofi visse nel II secolo d.C., durante il regno dell'imperatore Adriano. Il sarcofago rettangolare è in legno con quattro pilastri agli angoli e possiede un coperchio a botte. Due iscrizioni, una in greco, sul lato in breve e una in geroglifico, sul coperchio, ci forniscono il nome del bambino e la data della sua morte. Petaminofi visse 4 anni, 8 mesi e 10 giorni. Il fondo del sarcofago è dipinto con l'immagine della dea Nut (Nut e Geb sono Divinità rispettivamente del cielo (principio femminile) e della terra (principio maschile).Sono molto innamorati l'uno dell'altra. Sono i genitori di Osiride e di Seth) che abbraccia il defunto all'interno del sarcofago che simbologgia il grembo materno di questa dea, da cui il defunto sarebbe rinato. La testa del bimbo è coronata da un serto dorato ad imitazione delle ghirlande funerarie.

- Tomba di Nefertari

La tomba della regina Nefertari, moglie di Ramesse II, 1250 a.C. circa, fu scoperta da Schiapparelli nella valle delle regine nel 1904. La tomba era stata depredata nell'antichità e al suo interno si trovarono soltanto alcuni resti del corredo funebre. I predatori dei tombe ruppero il coperchio del sarcofago di granito per spogliare la mummia dei suoi gioielli; forse appartengono alla regina le ginocchia esposte nella vetrina insieme ad altri frammenti del corredo. Tra questi resti ci sono pilastri di legno, forse parti di un letto, l'ibis del dio Thot, djed, sandali, trecce di capelli, stoffe di lino, vasi, coperchi di cassette decorate e gli onnipresenti ushabti; un pomello di uno scettro regale in faience blu scura ed il piccolo pilatro djed in legno dorato con inserti di vetro rimandano allo splendore degli arredi della tomba. 
Durante il terzo periodo intermedio X sec. a.C., le figurazioni e i testi funerari che in passato decoravano le pareti delle tombe furono spesso trasferite sui sarcofagi che divennero assai elaborati. Butheamon, lo scriba reale della necropoli, venne sepolto in questo doppo sarcofago antropoide tipico della XXI dinastia e dotato di un falso coperchio interno ad ulteriore protezione della mummia. Sul sarcofago esterno il defunto è raffigurato nell'atto di stringere l'amuleto djed che rappresenta la colonna vertebrale di Osiride, simbolo di stabilità, e l'amuleto protettivo tit, un nodo protettivo. In quello interno invece impugna due piume, simbolo di Maat, dea della giustizia. Il resto della figura è decorato con testi sacri che incorniciavano scene religiose.


- Tomba inviolata

Si può immaginare l’eccitazione del direttore del museo,  Schiapparelli, il 29 gennaio del 1911, quando lui e la sua squadra scoprirono l’entrata intatta, non saccheggiata, di una tomba nel sito di Gebelein, a circa 30 km a sud di Tebe. La tomba scavata nella roccia era costituita da tre camere, delle quali soltanto due alloggiavano dei sarcofagi, risalente all'antico regno, intorno al 2450 a.C..
La mummia era collocata all’interno di un sarcofago di pietra nella camera più grande, insieme ad altri due sarcofagi. Le assi usate per sollevare e trasportare uno dei sarcofagi erano state lasciate nei pressi insieme alle funi. La tomba, oltre ai suoi numerosi arredi, conteneva 5 sarcofagi per tre uomini, i cui nomi non ci sono pervenuti, ed era corredata di forme di pane, due barche di legno, più di trenta recipienti e piatti d’argilla e un vaso chiuso da coperchio, cofanetti di legno pieni di tessuti, bende, poggiatesta in legno e in alabastro, sandali, un piatto d’alabastro con piede, un acquamanile e due anfore con un becco poste in un catino. Oggetti della vita quotidiana, tra cui anche un lussuoso piatto d’alabastro, offerte di cibo e abiti, tutte cose necessarie per intraprendere il viaggio verso l’Aldilà, associate a ognuna delle tre sepolture. Il defunto privo di nome (un uomo adulto alto 158 cm) nel sarcofago di pietra era mummificato, ma con braccia e gambe fasciati separatamente. Quello della mummificazione era un processo lungo (durava circa settanta giorni) evolutosi nel corso del tempo. In sostanza, il corpo veniva lavato numerose volte, gli organi interni rimossi e trattati separatamente (il cervello era probabilmente scartato del tutto), poi si procedeva alla disidratazione del corpo riempiendolo di sali di natron e lavandolo poi nuovamente, quindi il cranio e le cavità dell’addome e del torace erano riempite con sacchetti di natron, oppure le viscere trattate potevano venire reinserite nelle rispettive cavità. Le incisioni erano poi cucite (o ricoperte di cera), il corpo ancora una volta lavato, asciugato con pezze di lino e massaggiato con unguenti affinché rimanesse flessibile. Seguiva il bendaggio della mummia, spesso con centinaia di metri di lino, e alcuni degli strati venivano fissati versandovi sopra della cera disciolta. Fra gli strati, in posizioni cruciali, erano anche collocati degli amuleti. A volte nell’Antico Regno, sul volto delle mummie fasciate veniva spalmato del gesso, ma in questo caso i dettagli sono dipinti direttamente sui bendaggi del viso. 

Un'altra mummia ed uno scheletro sono ancora contenuti in due dei sarcofagi.



SECONDA SALA: Statuario

Le statue, dal mese di febbraio 2006, si presentano in un nuovo allestimento denominato Riflessi di pietra, realizzato dal famoso scenografo Dante Ferretti, vincitore del premio Oscar 2005 per la scenografia del film The Aviator di Martin Scorsese.

- Statua di Sethi II
Questa colossale figura del re Sethi II della XIX dinastia, databile all'incirca al 1200 a.C. circa, è alta 5,16 mt. ed era una delle due statue erette ai lati dell'ingresso della cappella delle Barche Sacre nel primo cortile del tempio di Karnak. Il faraone porta sul capo una corta parrucca e un'elaborata corona con corna d'ariete e un disco solare sulla sommità. Il re indossa inoltre un gonnellino con una testa di pantera e con un fregio di cobra sopra le ginocchia. Il sovrano regge un'insegna recante i suoi titoli e sormontata dall'immagine di un Dio. La presenza della pelle di pantera e la barba dritta sono in relazione al ruolo sacerdotale rivestito dal sovrano.
Il suo nome e i suoi titoli compaiono anche sulla base della scultura, sul pilastro dorsole, sulla cintura e sul piccolo elemento impugnato nella mano destra.



- Statua di Ramesse II
Questa struttura in diorite proviene da Tebe rappresenta il sovrano Ramesse II vissuto all'epoca della XIX dinastia (1250 a.C. circa) ed è conosciuto in tutto il mondo come il ritratto-capolavoro di uno dei faraoni egizi più famosi e che hanno regnato più a lungo. Il sovrano indossa la corona blu, o elmo da guerra, probabilmente in cuoio, rinforzata da anelli di metallo e una lunga veste plissettata con drappeggi asimmetrici che creano un'enorme manica scampanata. Nella mano destra il re stringe lo scettro, eka, simbolo della sovranità e ai piedi calza sandali infradito. A seguito della innovazione realistica portata dal precedente periodo amarniano il volto ha un modellato più realistico: il naso è grande e adulto, la bocca piccola e il mento quasi sfuggente. Queste fattezze erano inusuali prima del periodo ramesside. Seguono la tradizione le sopracciglia in altorilievo e le linee del trucco. Sotto i suoi piedi sono rappresentati 9 archi che simboleggiano le tribù straniere nemiche; alla base della scultura, due prigionieri, uno asiatico e uno nubiano, sottolineano l'assoluta supremazia del re sui paesi sottomessi. Ai lati delle gambe, compaiono le figure della moglie Nefertari e del figlio, il principe Amon-her-khepshef. Un graffito sul lato destro del trono attesta che la statua venne venduta da J.J. Rifaud uno scrittore-agente archeologico che per conto di Drovetti trovò il reperto a Tebe nel 1818, verosimilmente nel tempio di Karnak.


- Statua di Thutmosi III

Menkheperra




Questa scultura del faraone Thutmosi III scolpita intorno al 1450 a.C. venne ritrovata da Rifaud, a Tebe, nel 1818. Il sovrano è rappresentato nella tipica posa regale: assiso in trono con le mani distese sulle ginocchia. Indossa il copricapo "nemes" con il cobra "ureo" sulla fronte e il gonnellino "shendit", una cintura a zigzag e con un cartiglio centrale che riporta il titolo "Re dell'Alto e del Basso Egitto, Menkheperra,  il dio perfetto, lunga vita. Tra le gambe porta anche la coda reale, non è chiaro se sia bovina o leonina, come simbolo della sua potenza. Simbolicamente il re calpesta le nove tribù straniere nemiche dell'Egitto raffigurate come archi sotto i suoi piedi.
Il viso dolce con gli archi sopraciliari elegantemente modellati, le linee del trucco e un sorriso benevolo, è in forte contrasto con la modellatura muscolare del torso.
Un'altra iscrizione incisa sul trono lo identifica anche come il re delle due terre, amato dal Dio Amon-Ra,

 imnnN5Z1C1  un re cui è data la vita eterna. I lati del trono rafforzano l'idea di dominio sulle due terre per mezzo dei segni geroglifici del polmone e della trachea che compongoo la frase sema-tawy, «unire le due terre». Come uomo d'armi, Thutmosi III, effettuò conquiste in Palestina, Siria, Mesopotamia e verso sud, nei territori della Nubia.

- La dea Sekhmet

 "Colei che è potente" era la dea vendicativa a testa di leone, che portava come proprio attributo il disco del sole. Quando sconfiggeva i nemici stranieri, il faraone regnante era paragonato alla combattiva Sekhmet dal soffio infuocato. Il collegamento con il fuoco della dea era dato dalla sua associazione con il cobra ureo presente sulla fronte del re, che corrispondeva all’occhio del dio del sole Ra, avversario dei nemici del sole. Quando la città di Tebe crebbe in potenza, i sacerdoti egizi decisero che a Mut, consorte del dio supremo Amon, dovesse essere dato maggior rilievo e la dea venne quindi assimilata alla potente e popolare Sekhmet. Questa nuova versione della dea risulta in circa quattrocento statue del tempio di Karnak, di cui duecento in posa seduta, che recano le iscritti diversi epiteti, e che probabilmente provenivano dal tempio di Mut di Karnak. Queste ultime si pensa siano state trasferite al tempio di Mut, per un secondo utilizzo, dalla loro originaria posizione nel tempio funerario di Amenofi III situato sulla riva occidentale del Nilo. In totale dovevano esistere circa settecento di queste sculture monumentali (ognuna del peso di più di 1.400 kg) diffuse nell’intero Egitto. Gli studiosi sono divisi sulla questione della data di realizzazione di tutte queste statue, anche se concordano sul fatto che le figure con la rosetta scolpita sul petto sono databili al regno di Amenofi III. Il Museo Egizio possiede ben dieci figure sedute di Sekhmet (con una gamma di iscrizioni di nomi di re, da Amenofi III a Ramesse IV a Sheshonq, fra il XIV e il IX sec. a.C.) e undici versioni della dea in posa stante senza iscrizioni.

- Il tempio di Ellesija

Questo piccolo tempio fu scovato nell'arenaria del deserto, 200 km a sud di Assuan, in Nubia, a nord-est di Abu Simbel. Fu dedicato dal re Thutmosi III nel 1450 a.C. agli dei locali Horus di Maiam e Sadet, sua consorte. Entrambe le divinità realizzate in altorilievo siedono ai lati del sovrano nella nicchia del tempio. Come altre costruizioni delle Nubia, il santuario aveva lo scopo di pacificare gli indigeni venerando le loro divinità e associandole a quelle corrispondenti egizie. A partire dal VI secolo d.C., il tempio venne trasformato dai cristiani in chiesa, come testimoniano le croci incise sulle scene preesistenti. Il tempio fu donato all'Italia nel 1966 come riconoscimento della repubblica araba d'Egitto per l'aiuto italiano fornito durante la campagna di salvataggio dei monumenti nubiani minacciati dall'acqua a seguito della costruzione della nuova diga di Assuan.




TERZA SALA: Tomba di Kha e Merit


 - La stanza di Kha
Kha aveva due sarcofagi antropomorfi; la sua mummia è visibile in quello più interno. Entrambi sono dorati, decorati in modo elaborato e ornati con ghirlande di fiori. Erano collocati l'uno dentro l'altro sarcofago a forma di tempio, con base a forma di slitta. Gli effetti personali di Kha includono il suo set in bronzo per la rasatura, completo di astuccio in cuoio e pietra per affilare; si possono poi osservare la tavoletta e le tavolozze da scriba comprensivi di colore. Gli strumenti a forma di fungo potrebbero essere stati usati per lisciare i fogli di papiro. Il cubito reale egizio è uno strumento di misurazione: secondo quanto stabilito era uguale alla lunghezza dell'avambraccio suddiviso in 28 parti o dita di 18 mm. Kha aveva due cubiti nella sua tomba, uno pieghevole completo di astuccio di cuoio e uno diritto ricoperto con una lamina d'oro donatogli dal re Amenofi II. Fra i reperti che appartenevono a Kha ci sono una tunica leggera di lino e d'una più pesante, sempre di lino, con gli orli ricamati; oltre trenta mutande con le iniziali di Kha erano collocati nei vari
cofanetti di legno. Si possono poi notare i tavoli di canne con sopra una serie di pani di varie forme. Vicino a questi sono collocati dei vasi che contenevano vino. L'unica statuetta di legno di Kha, ornata con una piccola ghirlanda di fiori, è collocata sulla sedia ad alto schienale, come quando venne ritrovata insieme a due ushabti muniti di zappa, bilancere e sarcofago in miniatura.


-Cofanetto da toeletta di Merit

Nuovo Regno, XVIII dinastia, regno di Amenofi II-III (1428-1351 a.C.)
Cofanetto da toeletta di Merit


Legno (sicomoro) con recipienti di alabastro, vetro e ceramica
Nuovo Regno, XVIII dinastia, regno di Amenofi II-III (1428-1351 a.C.)
Provenienza: Deir el-Medina, dalla tomba di Kha, scavi Schiaparelli, 1906
Nn. Inv. S. 8479, 8480, 8481, 8483, 8484, 8486, 8487, 8489, 8490
La tomba di Kha e di Merit era corredata di tutti gli oggetti da loro usati in vita, necessari nell’Aldilà. Gli unguenti e il kohl erano considerati elementi essenziali per l’igiene e, in quanto materiali preziosi, venivano conservati in una varietà di recipienti con coperchio in alabastro, vetro e ceramica. Gli Egizi si proteggevano dal sole e dalle mosche spalmandosi sotto gli occhi del kohl scuro (raffigurato nelle sculture con una lunga linea cosmetica). Il tipico recipiente per il kohl era a forma di palma, gli altri alberi scarseggiavano, che rappresentava anche un importante simbolo della vita (la fronda della palma costituisce il verbo «essere giovani»). Il vetro era un materiale relativamente nuovo e perciò considerato prezioso. In quel tempo i vasi di vetro non erano ancora soffiati, ma venivano fatti avvolgendo il vetro caldo sopra una forma di argilla e letame e poi rovesciandolo su una superficie piana. Sulla superficie veniva in seguito «trascinato» del vetro di altri colori e inserito con uno spillo di metallo a formare delle decorazioni a zigzag. Tutti questi recipienti di forme diverse, verosimilmente la forma era indicativa dei contenuti, furono sistemati con cura in questa cassetta di legno a due livelli, dotata sul fondo di cinque scompartimenti. La parte esterna del cofanetto è decorato con un motivo a scacchiera e con una gemma di loto e una bordura di questi fiori (il loto simboleggia la rinascita perché di notte si chiude e va a fondo, per rifiorire però all’alba). L’iscrizione, forse aggiunta poco prima della sepoltura, riporta che il cofanetto è un’offerta funeraria per lo spirito di Merit.



- Falsa porta Uhem-Neferet
Questa falsa porta proviene dalla tomba di Giza di Uhem-Neferet vissuta durante la IV dinastia, tra il 2600 e il 2470 a.C. La defunta è raffigurata sull'architrave della porta, seduta ad una tavola imbandita di cibi. L'architrave riporta i suoi titoli in geroglifico: figlia del re, la prediletta, privilegiata, presso sua madre,
Uhem-Neferet. Il rango della defunta giustifica il fatto che avesse una tomba tutta per sé; i montanti e gli stipiti della porta sono decorati con scene di offerte consistenti in vivande, teli di lino e sandali per il defunto.






Per le foto della visita precedente:
http://cortigianerie.blogspot.it/2013/04/museo-egizio-di-torino.html

 http://www.museoegizio.it/pages/capolavoristatic.jsp

http://it.wikipedia.org/wiki/Museo_egizio_%28Torino%29

 http://it.wikipedia.org/wiki/Religione_egizia

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